Quello che resta è un po’ di sole.

 

Dov’è questa sera la luna, io non saprei mica dirtelo. Su di me non vedo altro che nuvole grigie di malinconia pronte ad accogliere il più triste dei temporali. Dicono stia per arrivare, per prima con il suo debole soffio di vento, di quelli che sembra quasi graffiarti la pelle, ma con delicatezza, poi con la prima ondata di lacrime amare su consumati asfalti di storie vissute. La luna, io, non saprei nemmeno descrivertela. Perché provo ad immaginarla, sai? Ma non vedo che disincantate crepe. Non vedo uomini camminarci, eppure qualcuno sembra averlo già fatto. Non vedo donne sfilarci su eleganti tacchi di coraggio. Anche queste, comunque, sembrano esserci già state, lì, sulla luna che sfugge al mio sguardo.
In realtà, se ci penso, non saprei nemmeno parlarti delle stelle. Sono una frana lo so, non saprei dirti quale sia quella più vicina o quella più lontana, quale quella più luminosa. Io, che delle stelle non vedo altro che bianchi puntini su tiepidi cieli nero acqua.
Eppure, sai, sarei capace di dirti l’ora esatta del crepuscolo di domani, il magico momento in cui il cielo comincia a tingersi di rosa, come latte versato su vuoti paesaggi di abbandono.
Volendo, potrei anche dedicarti il migliore dei tramonti che tu abbia mai visto. Questo sarei ben capace di farlo, a portarti tra i dettagli di bianche nuvole di poesia, di quelle che girando l’angolo non trovi mai la luna, ma gli ultimi raggi di sole che si infilzano contro chiare e scure pelli, senza fare distinzione alcuna.
Giuro che, se proprio dovessi sentirne il bisogno, questo sole potrei anche fartelo vedere in mezzo al bosco, con le sue rette parallele che si autoinvitano tra le feste private di sottili rami in penombra, danzanti foglie ubriache di disparate venature.
Torno a dirti, però, che non sarei mai capace di lasciarti puntare il telescopio per una intera notte. Io non vedo mai la luna, ma artificiali luci. Non vedo mai le stelle che, seppur belle, non cambia il fatto brillino in mezzo al buio.
E mi perdo la meravigliosa quiete della sera, dirai, e lo so bene anch’io. Ma questa luna no, troppo lontana dagli altri pianeti, dal nostro, troppo piena dei suoi cazzi per pensare anche a noi. Il sole, invece, basta che si poggi sul solo volto di uno sconosciuto incontrato per strada che tutt’intorno sembra quasi addolcirsi, rinvigorirsi di fugaci romanticherie. Di quelle che apprezzi, mai troppo sdolcinate. Che non si servono di parole, ma di visuali. Questo sole, lui sì che mi piace. Occhi vuoti che non conoscono, che non conosco, che cambiano colore quando un solo accenno di luce li colpisce in pieno sul viso. Pelli che non hanno odore che quasi brillano di gioie che non sono più nostre, che non sono nemmeno gioie. Che potrei chiamare ricordi di te su altre persone ma che preferisco chiamare ricordi da dimenticare.
Potrei anche fartela, se proprio ci tieni, una breve lezione sulla luna. Condirei quel breve lasso di tempo in cui tu staresti ad ascoltarmi e a guardarmi con patetiche metafore di vita vissuta, di vita nostra. E ci infilerei una te a caso per ricordarti chi eri. Chi ero io. Chi sono ancora. Chi non sarò più, chi non sarò mai.
Finito di spiegarti tutto ciò potrei anche fare il sacrificio di portarti su una piccola collina, facilmente raggiungibile con la nostra macchina, e aspettare di vedere la luna nella sua forma migliore spuntare tra incerte nubi di preavvisate piogge. Ti scioglierei la coda e per un po’ giocherei con quei tuoi lunghi capelli castani d’una volta. Poi una ciocca dietro l’orecchio sinistro e ti darei un solo e sincero bacio sul collo prima di prenderti la mano e dirigerla, assieme alla mia, verso il buio del cielo.
Ti indicherei la luna, quella lì, quella che non mi piace ma che con te è sempre un po’ più bella, e per una volta potrei anche fare a meno di sentire il bisogno di essere avvolto dalla luce del sole, dalla pesantezza delle nuvole al tramonto sul mare.
Un po’ soffrirei, però, quando io starei a guardarla, questa luna, provando a perdermi tra le sue crepe, che somigliano tanto alle cicatrici che porto di te ma che nessuno mai vede, e tu, invece, anziché guardarla per come la guardo io ti perderesti a guardarmi il dito. Che tristezza sì, io che ti indico la luna e tu che mi guardi il dito. Cosa vuoi capirne, allora, dell’amore se le tue mancanze le concentri tutte su queste piccole cose? Che sono tutto, che sono parte, che sono niente, ma sono sempre un po’ me.
Mi chiederesti scusa per la profondità mancata, per il tatto assente, per la testa altrove e che altrove ha un nome diverso dal mio. Così, sempre su quella collina, dove avrei tanto voluto consumare passioni d’un secolo tutte in una volta, ti riporterei a casa, quella non più mia. Ti lascerei andare, e poi mi lascerei andare. Aspetterei tue notizie fino a tarda notte ma non arriverebbero, comincerei a guardare la luna ogni sera e me la prenderei con lei, per le colpe che non ha, per quelle che hai tu, per quelle che faccio pesare alle altre per il solo fatto di non essere come te.
Mi accascerei ad un romantico tavolo di tristi sedute e per la prima volta ordinerei qualcosa che sia più mio che nostro e sì, il mio palato quanto ne gioirebbe, ma quanti centimetri di filo spinato si aggroviglierebbero attorno alla gola, poi.
Dov’è questa sera la luna, io forse saprei dirtelo. Dove sei tu, invece, no. Non di fronte a me, a tenere calda quella vuota sedia in legno che mi fissa, e che fisso, provando ad immaginare le tue lunghe braccia su quel piccolo tavolo mentre le mani gesticolano per qualcosa che ti diverte, per qualcosa che dico io, o che dici tu a me. Le gambe accavallate ai lati del tavolo e il piede destro, che sta sopra, che si muove di continuo come il migliore dei tic che potrei non voler mai smettere di guardare.
Questa sera ti sento, nelle sigarette fumate da solo, nel primo bicchiere di vino rosso andato a puttane contro stomaci di ferro. Nel piatto fumante di carbonara che ho appena ordinato e che manca sempre un po’ di gusto. Questa sera la sento, nell’aria, la fresca brezza del passato che torna a graffiare prima sulla pelle, poi sempre un po’ più vicino al cuore, senza mai sfiorarlo, senza mai affrontarlo.
Per la prima volta potrei anche averti cercato tra quelle stelle che non ho mai guardato ma sai, come tutte le altre volte, non ti ho trovata nemmeno qui. Quale fosse quella più luminosa, quella più distante, quella più vicina io continuo a non sapertelo dire. Se questo è un limite, mi sta anche bene. Ci ho provato, io, a guardare la luna per te, ad indicartela senza nemmeno sapere di muovere il braccio verso la perfetta direzione prospettica. Te ne ho parlato, senza nemmeno conoscerne il diametro, solo perché farmi ascoltare e parlarti era bello tanto quanto insegnarti me stesso, farti diventare me ed io diventare te. Simbiosi di anime, universi in disparte dalla luna. E anche dal sole.
Questa sera non ci sei, e questo è l’importante. Perché posso tornare a godermi il mio sole, i miei tramonti, le mie albe, senza nemmeno sforzarmi di portarti un po’ di luna ogni qualvolta sentissi il bisogno d’averne anche solo un pezzo, senza mai chiederlo. Questa sera non ci sei, a questo tavolo vuoto, in questa città sempre in movimento, non ci sei sotto i lampioni di piazza dei Mercanti. Ciononostante, ogni tanto, uno sguardo alla luna torno comunque a darlo. Per ricordarci, giusto quel quanto basta. Questa sera non c’è nemmeno la luna, e se c’è è ben nascosta da nuvole non mie. Un po’ come te.
Tutto questo mi sta bene, potrà anche non esserci la luna, questa sera. Ma nulla impedirà che domani vivrò un’altra bellissima giornata di sole.